“I nuovi ricchi, arabi e cinesi,
l’elogio del designer con lo spremiagrumi arancione, la Dolce Vita, Il nudo, il
femminismo dalla puttana all’editrice, le avanguardie, la chirurgia estetica,
il vecchio drogato simbolo di un 68 morto, l’arte negata perché appannaggio
solo di ricchi e nobili nelle loro case chiuse, la depressione giovanile sino
al suicidio, il vecchio e l’amante ucraina, i gironi dell’inferno, Maria Teresa
di Calcutta, l’arte culinaria di moda, la fascia Gibaud, le sedie della
commedia Le Voci di dentro di Eduardo, Re Fellini.”
Questi sono i flash
riverberati nella mia mente e che ho annotato guardando il film per avere dei
punti di riferimento per le mie riflessioni.
Dove cominciare?, dalla semplicità del giudizio sintetico: non mi ha
entusiasmato, alla difficoltà di spiegare una posizione così contraria alla
maggioranza ed al pensare del gota dei critici cinematografici che hanno
assegnato a Sorrentino l’Oscar, lo stesso che Benigni ha vinto con la “poesia”
La vita è bella incorniciata da una colonna sonora non solo da oscar ma
immortale.
Un ‘opera figlia
della creazione e non della creatività, della mente e non del cuore, del rigido
e freddo ragionamento e non dell’istintivo visceralismo, ovvero un’opera creata
per partecipare agli oscar e vincerli con un grande ed enorme impegno di uomini
e mezzi tesi ad un’unica meta: l’Oscar per Paolo Sorrentino.
Il film non ha praticamente una trama narrativa…..
(anche la storia del giornalista
non trova spunti per dare forma e sostanza ad una categoria; Gep potrebbe
svolgere qualsiasi mestiere e se Sorrentino ha scelto Servillo giornalista è
solo per avere una voce narrativa, non al di fuori della scena, ma protagonista anche fisicamente)
….ma solo la trama di un progetto, quello di Sorrentino di distruggere
la grande bellezza e narrare la storia di questa distruzione. Di fondo egli la
rappresenta distruggendo, con ferrea determinazione, la borghesia e la nobiltà
che egli, novello Dante, ci mostra in un girone infernale dantesco ed
iconograficamente felliniano (la nana, il nudo, la diva invecchiata e divenuta
grassa) in più raduni di gruppo con musiche e danze. Un attacco figlio forse di
una ricostruzione malinconica di un 68 non vissuto ed un proprio vissuto e
sentire, contro coloro che nella storia non solo la bellezza dell’arte la hanno
conservata, seppure per il godimento di pochi eletti, ma sono stati anche
munifici mecenati per gli artisti. Con una serie di flash Sorrentino fa entrare
in scena, quali inermi burattini, una serie di personaggi la cui storia avvalora
la crisi di una società che il cinismo di Gep acuisce sino alla distruzione,
conscia e premeditata. E distrugge altre due icone della bellezza, quella
femminile rappresentata dalla distruzione fisica di Serena Grandi (icona sexy
degli anni 70-80) e dalle rughe della Ferilli, e quella ieratica, ascetica,
contemplativa di una sosia di Maria Teresa di Calcutta resa tragica e mostruosa
in viso. Il cinico Gep alla fine, anche Lui, eroe narrativo del regista, assume
il ruolo di sconfitto con un pianto che, di fatto, annulla tutto quell’arco di
vita che va dal romanzo premiato con il Bancarella di un giovane scrittore
pieno di ideali che è vissuto saprofita
e cinico spettatore di una società che lentamente si autodistruggeva,
sino alla presa di coscienza di un debole e svuotato protagonista dei giorni d’oggi.
Caro Sorrentino tu indulgi, quasi con compiacenza, alla distruzione di
un tipo di società, di una certa bellezza fine a se stessa o meglio premio per
gli occhi di pochi, o meglio di quei pochi che possono, culturalmente, o per
storia personale e familiare, apprezzare nella sua interezza. L’obiettivo? Aspetto
il prossimo film per dare corpo ad una mia ipotesi, nel frattempo, sono riuscito
a salvare , nonostante tutto, tra quei
pezzi di bellezza da te distrutti, le immagini di una bellissima Roma ed una
statuaria Ferilli e di esse mi beo. Lascio a Te ed ai tuoi amici la dozzinale
TV commerciale, la pubblicità, la tua borghesia televisiva e vuota degli oscar
e l’icona Belen…… IO, SONO SICURO CHE ME LA CAVO
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