mercoledì 5 marzo 2014

LA GRANDE BELLEZZA DISTRUTTA (ad arte)




 “I nuovi ricchi, arabi e cinesi, l’elogio del designer con lo spremiagrumi arancione, la Dolce Vita, Il nudo, il femminismo dalla puttana all’editrice, le avanguardie, la chirurgia estetica, il vecchio drogato simbolo di un 68 morto, l’arte negata perché appannaggio solo di ricchi e nobili nelle loro case chiuse, la depressione giovanile sino al suicidio, il vecchio e l’amante ucraina, i gironi dell’inferno, Maria Teresa di Calcutta, l’arte culinaria di moda, la fascia Gibaud, le sedie della commedia Le Voci di dentro di Eduardo, Re Fellini.”

                Questi sono i flash riverberati nella mia mente e che ho annotato guardando il film per avere dei punti di riferimento per le mie riflessioni.
Dove cominciare?, dalla semplicità del giudizio sintetico: non mi ha entusiasmato, alla difficoltà di spiegare una posizione così contraria alla maggioranza ed al pensare del gota dei critici cinematografici che hanno assegnato a Sorrentino l’Oscar, lo stesso che Benigni ha vinto con la “poesia” La vita è bella incorniciata da una colonna sonora non solo da oscar ma immortale.
                Un ‘opera figlia della creazione e non della creatività, della mente e non del cuore, del rigido e freddo ragionamento e non dell’istintivo visceralismo, ovvero un’opera creata per partecipare agli oscar e vincerli con un grande ed enorme impegno di uomini e mezzi tesi ad un’unica meta: l’Oscar per Paolo Sorrentino.
Il film non ha praticamente una trama narrativa…..  
   
(anche la storia del giornalista non trova spunti per dare forma e sostanza ad una categoria; Gep potrebbe svolgere qualsiasi mestiere e se Sorrentino ha scelto Servillo giornalista è solo per avere una voce narrativa, non al di fuori della scena,  ma protagonista anche fisicamente)
          
….ma solo la trama di un progetto, quello di Sorrentino di distruggere la grande bellezza e narrare la storia di questa distruzione. Di fondo egli la rappresenta distruggendo, con ferrea determinazione, la borghesia e la nobiltà che egli, novello Dante, ci mostra in un girone infernale dantesco ed iconograficamente felliniano (la nana, il nudo, la diva invecchiata e divenuta grassa) in più raduni di gruppo con musiche e danze. Un attacco figlio forse di una ricostruzione malinconica di un 68 non vissuto ed un proprio vissuto e sentire, contro coloro che nella storia non solo la bellezza dell’arte la hanno conservata, seppure per il godimento di pochi eletti, ma sono stati anche munifici mecenati per gli artisti. Con una serie di flash Sorrentino fa entrare in scena, quali inermi burattini, una serie di personaggi la cui storia avvalora la crisi di una società che il cinismo di Gep acuisce sino alla distruzione, conscia e premeditata. E distrugge altre due icone della bellezza, quella femminile rappresentata dalla distruzione fisica di Serena Grandi (icona sexy degli anni 70-80) e dalle rughe della Ferilli, e quella ieratica, ascetica, contemplativa di una sosia di Maria Teresa di Calcutta resa tragica e mostruosa in viso. Il cinico Gep alla fine, anche Lui, eroe narrativo del regista, assume il ruolo di sconfitto con un pianto che, di fatto, annulla tutto quell’arco di vita che va dal romanzo premiato con il Bancarella di un giovane scrittore pieno di ideali che è vissuto saprofita  e cinico spettatore di una società che lentamente si autodistruggeva, sino alla presa di coscienza di un debole e svuotato protagonista dei giorni d’oggi.
Caro Sorrentino tu indulgi, quasi con compiacenza, alla distruzione di un tipo di società, di una certa bellezza fine a se stessa o meglio premio per gli occhi di pochi, o meglio di quei pochi che possono, culturalmente, o per storia personale e familiare, apprezzare nella sua interezza. L’obiettivo? Aspetto il prossimo film per dare corpo ad una mia ipotesi, nel frattempo, sono riuscito a salvare , nonostante tutto,  tra quei pezzi di bellezza da te distrutti, le immagini di una bellissima Roma ed una statuaria Ferilli e di esse mi beo. Lascio a Te ed ai tuoi amici la dozzinale TV commerciale, la pubblicità, la tua borghesia televisiva e vuota degli oscar e l’icona Belen…… IO, SONO SICURO CHE ME LA CAVO

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